Corrado Piccione parla dell'artista Corrado Frateantonio e parlando di lui descrive gli incontri e i giochi particolari di una città del Sud Italia nel dopoguerra italiano, il senso di appartenenza ai quartieri, i valori di quel tempo, l'amore per l'arte...
...nostalgie e rimpianti per quei frammenti di vita e di amore che abbiamo vissuto, che abbiamo considerato persi in quanto ammantati nelle nebbie del tempo e che pur tuttavia ritornano per aiutarci a vivere meglio...
La duttile poetica del vissuto:
ricordi e riflessioni su un avolese doc
Corrado Frateantonio, lo conosco! Si può dire che lo conosca da sempre! È mio coetaneo e abbiamo tanti amici in comune.
Ad Avola, nei primi anni del dopoguerra, un po' come in tutti i paesi vicini, i quartieri erano una realtà individuale e sociale molto importante. Indicavano l'appartenenza e la vicinanza, ed esigevano la partecipazione alla vita che si viveva fuori, per le strade, nei cortili, o in piazza. Io appartenevo al quartiere di Sant'Antonio, all'interno dell'esagono; Corrado, invece a quello del Sacro Cuore, all'esterno dell'esagono. Per noi, ragazzi, il quartiere rappresentava un microcosmo a se stante, una città nella città, dove combattevamo gli uni contro gli altri, sia per difenderlo sia per affermarne la superiorità sugli altri. Le nostre armi erano i sassi, strumenti di difesa e di offesa che non mancavano mai, visto che allora le strade non erano pavimentate. Il capobanda, di solito il ragazzo più grande o quantomeno il più impavido, dava la carica al grido di Savoia, magari senza capirne il significato. Le pietre volavano fitte da entrambe le parti, e talvolta qualcuno si faceva male. I vetri rotti erano innumerevoli, ed ecco che la battaglia veniva interrotta dai proprietari che ci inseguivano con un bastone in mano e noi scappavamo da tutte le parti. Ma si trattava solamente di una tregua armata che cessava pochi minuti dopo in quanto la battaglia ricominciava spostandosi altrove. La supremazia del quartiere non era basata soltanto sulle sassaiole; c'erano anche quelle interminabili sfide al tuppettu o le corse sfrenate con i carramatti. Il gioco del tuppettu richiedeva una notevole perizia, una rara abilità e una continua cura di tale oggetto. Veniva spesso personalizzato con dei colori o con dei disegni. Le dimensioni variavano, così come erano vari la lunghezza e lo spessore della mazzata, ovvero della cordicella che serviva a conferirgli la durata dei giri. Occorreva adattare la punta al terreno in cui si giocava, e anche il tipo di lancio non era sempre lo stesso: poteva essere orizzontale o verticale. Effettuando il lancio dall'alto verso il basso era necessario ammortizzare la punta per proteggerla, e di solito si ricorreva allo sterco di cavallo. Chi perdeva la gara era sottoposto alla pizzata, ovvero doveva lasciare il suo tuppettu in balia dei tiri verticali degli altri ragazzi, e prima o poi andava a finire che il suo giocattolo veniva centrato e rotto. Si giocava all'aperto, soprattutto nelle prime ore dei pomeriggi estivi.
A volte catturavamo delle lucertole con un filo d'erba lungo e resistente, detto ajna, che ci serviva per guidarle nelle corse a cui erano sotto poste. Si trattava di un gioco alquanto crudele, tuttavia dopo le gare di velocità le povere bestioline, per loro fortuna, venivano liberate.
I giocattoli non esistevano, e quei pochi che c'erano in commercio erano riservati ai ragazzi più agiati. Ecco allora che ci inventavamo di tutto: il cerchione della ruota della bicicletta da sospingere con un pezzo di legno, il gioco dello scuppiddu, il fucile con il manico della scopa; qualunque oggetto, insomma, diventava un modo per trastullarci.
La parrocchia era un altro punto di aggregazione. Essere scelti per suonare le campane o servire la messa con l'abito da chierichetto, era per noi un grande privilegio, un onore che ci faceva sentire importanti.
In estate scendevamo a mare per i bagni, ovviamente a piedi, e il nostro divertimento preferito era quello di fare scoppiare i residui bellici che allora abbondavano lungo la spiaggia. Si trattava di un gioco altamente pericoloso che a volte provocava gravi danni e anche qualche lutto.
In questo periodo sorgevano i primi partiti politici. La sera in piazza c'erano degli spettacoli di satira politica, una sorta di antesignana di Striscia la notizia. La sinistra ci intratteneva con L'ora del popolo, i cui testi venivano elaborati dal maestro Gaetano Alia; il centrodestra con L'ora degli amici. Era un periodo che non saprei definire; forse era bello, forse era brutto, ma era pur sempre maestro di vita!
Crescendo, ci si metteva a discutere per cercare di capire quali fossero le nostre inclinazioni, le nostre aspirazioni future e quale progetto di vita fosse alla nostra portata.
Finita la scuola media, le nostre strade si divisero; ognuno di noi prese un itinerario diverso. Ad Avola non c'erano ancora le scuole superiori, per cui bisognava andare fuori, a Siracusa o a Catania. Per qualcuno c'era anche il collegio a Bronte o ad Acireale. Qualcun altro, seguendo la specificità del suo studio, si allontanava ancora di più. Tuttavia eravamo in un periodo in cui le condizioni economiche non consentivano a tutti di mandare i propri figli a scuola. Allora la via più breve e meno dispendiosa era quella di mandarli a studiare al seminario. Alcuni, terminato il percorso di studi, sono andati via; qualcun altro ha preso i voti, ma già allora, come oggi, le vere vocazioni erano rare.
Roma era la capitale; sogno di tutti, ma non per tutti. Solo Corrado, dopo avere terminato gli studi artistici a Siracusa, ebbe l'opportunità di stabilirvisi per studiare all'Accademia: Scenografia.
Anch'io mi allontanai per parecchio tempo da Avola, per cui i nostri contatti si fecero sporadici. Ci si rivedeva in estate, nel periodo delle ferie, ma non era più la stessa cosa. Non c'era più il clima giocoso e goliardico di una volta. La vita ci aveva fagocitati, ognuno aveva i suoi problemi personali, vuoi familiari, vuoi di lavoro. Pur tuttavia incontrarsi era bello, così come era piacevole intrattenersi sui tempi andati.
Le vicende della vita ci avevano cambiati e lui aveva acquisito un'aria anticonformista. Vestiva di nero, portava la barba, fumava Gauloises, mentre noi fumavamo le più semplici e popolari Nazionali. Era proprio un bel ragazzo, ma ostentava un atteggiamento di superiorità nei confronti del paese e dei compagni di un tempo. Ci dava l'impressione del grande artista. Veniva sempre in compagnia di belle donne, ed era proprio questo che suscitava in noi un certo sentimento di invidia nei suoi confronti. Anche questo era frutto del nostro trascorso, del periodo in cui, passeggiando in piazza, i nostri discorsi toccavano sempre l'argomento Donne. Erano i tempi in cui le donne erano l'oggetto del nostro desiderio inappagabile. il corteggiamento e l'amore erano fatti di sguardi, passeggiate sotto la finestra dell'amata, bigliettini fatti recapitare, toccate furtive nelle sale buie dei cinema, la cosiddetta manomorta. Era impossibile avvicinare, e ancor meno parlare con la persona amata. Le uniche occasioni di incontro erano la chiesa, durante la messa, e le feste da ballo. Si tentava di organizzarle in casa dell'uno o dell'altro, ma era raro che le ragazze venissero. Si sperava nelle sorelle degli amici, ma spesso i fratelli erano gelosi per cui i balli finivano tra soli maschi. Ancor oggi, dopo la mutazione e l'emancipazione dei costumi, parlando delle donne, lo si fa con un linguaggio fatto di sottintesi e maliziosità.
Poi, infine, per un lungo periodo di tempo non ci siamo più rivisti.
Recentemente, l'associazione Gli Avolesi nel Mondo ci ha dato l'occasione di incontrarci ancora una volta e di riallacciare quell'amicizia che era stata per noi una complice intesa, quasi un accordo indissolubile.
Adesso, più maturi e ricchi di esperienza, ricordiamo con nostalgia i vecchi tempi in cui ci si divertiva veramente con meno di poco.
La scorsa estate, assieme agli amici Michele Tarantino, Michele Favaccio e Paolo Magro, adesso studioso di storia antica, siamo andati a fare un'escursione ad Avola Antica alla ricerca dei quartieri, delle strade e delle chiese della città scomparsa dopo il terremoto del 1693. Qualche giorno prima c'era stato un incendio, uno dei tanti incendi che ormai sono soliti accompagnare le nostre estati, che aveva fatto bruciare tutta la vegetazione e le sterpaglie e che aveva messo a nudo i muri delle antiche case e le grotte che venivano utilizzate come ricovero per gli animali. Paolo Magro ci ha indicato l'ubicazione delle chiese e delle strade, ma soprattutto dell'antico castello trecentesco di cui rimangono solo poche tracce e che solo gli occhi e la fantasia di uno studioso riescono a farlo emergere dall'oblio del tempo e dall'incuria degli uomini.
Seduto fra i rovi carbonizzati, Corrado, usando magistralmente una matita, ha tracciato uno schizzo del vecchio sito di Avola Antica.
Di recente ho avuto modo di visitare la ricca pinacoteca di Corrado e mi sono reso conto che la sua arte rappresenta il retaggio della sua esperienza in Sicilia e della nostra identità isolana. Pur non essendo un esperto di arte, credo di poter dire che egli sia riuscito a carpire con acuta intelligenza le problematiche dell'individuo, mettendo a nudo la crudezza del volto dell'uomo e conferendogli una forte spiritualità. I personaggi ritratti nelle sue tele sono per lo più povera gente, lavoratori della campagna, pescatori, scalpellini, muratori. Corrado ha rappresentato in molti dei suoi dipinti la vecchiaia. I suoi vecchi non seguono il processo verso lo stadio finale della vita. Dai loro volti sembra scaturire la loro volontà di affidare all'immaginario e all'arte la trasposizione della vita biologica. I volti esprimono forza, carattere, capacità volitiva; quei volti, che il duro lavoro ha scavato, striato e solcato, danno l'impressione a chi li guarda di tranquillità, di saggezza e di infinito. Certo non è facile afferrare le mille nuances del volto umano, in quanto ognuno è un essere unico e irripetibile. Corrado ne ha fatto una sintesi, immortalando le varie sfaccettature che lo forgiano e che sono figlie dell'esistenza e dell'esperienza travagliata e spesso tragica dell'uomo.
Sono passati molti anni dalla nostra infanzia, l'adolescenza è un ricordo oramai lontano, i sassi hanno ceduto il passo ai libri e alle competenze, la memoria dei vecchi giochi è diventata l'arte di rivivere gli smarrimenti della giovinezza e gli insegnamenti da parte dei più grandi; è subentrata la voglia di vedere rifiorire i valori della semplicità, della lealtà e dell'umanità.
Le rimembranze, le memorie, ovvero i ricordi che si fanno nostalgie e rimpianti per quei frammenti di vita e di amore che abbiamo vissuto, che abbiamo considerato persi in quanto ammantati nelle nebbie del tempo e che pur tuttavia ritornano per aiutarci a vivere meglio.
Corrado Piccione
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Urla la tua opinione: “In occasione dei 150 anni dell’unità d’Italia”, di Fulvio Maiello
Fino a poco tempo fa conoscevamo l’isola di Lampedusa come un pezzo di terra africana rimasta isolata nel mediterraneo a seguito della lacerazione dell’unico supercontinente un tempo esistente. Poco più di uno scoglio dove le tartarughe marine deponevano le uova, un gruppo di cittadini tiravano avanti a fatica le famiglie e parecchi altri cittadini, questi benestanti, utilizzavano per le vacanze al sole. Improvvisamente tutto è cambiato. La Tv ci fa vedere folle di uomini. In maggioranza giovani, donne e bambini provenienti dalle vicine coste africane i quali arrivano con ogni mezzo disponibile in quantità tali da far pensare alle antiche migrazioni dei popoli sempre periodicamente verificatesi nella storia dell’umanità. Senza scomodare l’homo erectus diffusosi sulla terra a partire, guarda caso, dalle savane africane possiamo ricordare l’invasione dei dori verso il mediterraneo al tempo della civiltà greca; passando poi per le invasioni barbariche del medioevo e, per finire, alle massicce emigrazioni di concittadini ed altri cittadini europei verso le americhe degli ultimi tempi. Osservando con attenzione e senza pregiudizi i volti che passano sulla tv vengono spontanee da fare un paio di osservazioni. La prima è che sono persone in tutto e per tutto uguali a noi anche nel colore della pelle. Non mostrano atteggiamenti di violenza ne di manifesta sofferenza. Non perché la sofferenza non c’è ma perché è pudicamente dissimulata. La seconda osservazione è che in maggioranza si tratta di giovani che portano negli occhi la promessa di un futuro. La riflessione ci porta ad osservare come mai niente e nessuno si è potuto opporre alla forza e vitalità delle migrazioni popolari. Nel terzo millennio ci sono ancora delle persone che pensano di poter chiudere le porte d’ingresso del loro paese a tutti quelli che , per un verso o per l’altro, non ci piacciono. La cosa grave è che costoro stanno attualmente al governo del paese. Mi riferisco ai padani che nessuno sa cosa significhi, non a tutti i padani per fortuna, ma a quelli che stanno sfruttando le più basse pulsioni delle masse per il loro interesse personale. Ci sono nei paesi del mediterraneo fenomeni nuovi e speranze di cambiamento che nessuno vuole cogliere e i nostri governanti non sanno fare altro che basse polemiche al loro interno con atteggiamenti ondivaghi che vanno dal baciamano ai peggiori dittatori al difficile equilibrismo politico in campo internazionale. Considerata la pochezza e povertà del panorama politico nazionale lancio una proposta. Perché non seguiamo l’esempio degli egiziani, tunisini , libici e altri che si stanno mettendo in moto e non facciamo anche noi qualcosa di utile per i nostri figli? E’ vero o no che gran parte dei componenti le assemblee parlamentari è costituita da personaggi che hanno o hanno avuto a che fare con la giustizia? Mi sembra che Beppe Grillo ne abbia confezionato un lunghissimo elenco. I giudici sono stati bloccati e possono funzionare solo per giudicare e condannare i ladri di polli e solo quelli. Allora mandiamoli tutti a casa, a calci nel sedere se occorre, senza riguardo alcuno o ripensamenti e cominciamo da zero a ricostruire una nuova società.
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PRESTO IN LIBRERIA:
Una pubblicazione curata
dall'Associazione ''Acquanuvena''
dove a parlare
di Cava Grande del Cassibile sono i ragazzi
Associazione Acquanuvena – Progetto Junior
I ragazzi raccontano... La Cava Grande del Cassibile, 8°, pp. 48, ill.
Libreria Editrice Urso
Collana Territorio e memoria
– Associazione Acquanuvena
ISBN 978-88-96071-45-8
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